di Franco Metta
Eni intende creare al largo di Ravenna uno dei più grandi centri per lo stoccaggio della CO2, utilizzando i giacimenti di gas naturale ormai esausti, che possono essere riconvertiti con un potenziale tra i 300 e i 500 milioni di tonnellate.
Questi stoccaggi che utilizzano la tecnologia Carbon Capture and Storage (CCS), a regime potrebbero consentire di decarbonizzare non soltanto l’intera attività di Eni ma anche di altre realtà industriali.
Per lo sviluppo del progetto Eni intende richiedere il sostegno del Fondo europeo per l’innovazione, dal momento che per le ricadute sul piano tecnologico e delle competenze servirebbe a creare una nuova filiera industriale. La roadmap prevede la realizzazione di un progetto pilota, con avvio delle attività entro il 2022, a seguito di tutte le autorizzazioni necessarie, mentre per lo sviluppo completo l’avvio delle operazioni è atteso nel 2026.
Il mondo ambientalista si dice contrario al progetto: ieri a Ravenna c’è stata la prima manifestazione: “No Ccs – il Futuro non si s(T)occa”, coordinata da Fridays for Future Italia, da Legambiente e da altri movimenti ambientalisti, a partire dal coordinamento ravennate di “Per il clima, fuori dal fossile”.
“Sarebbe un modo – affermano – per continuare a utilizzare combustibili fossili, e in più ci sarebbe il rischio perdite”. Ipotesi questa delle fuoriuscite di gas non condivisa dalla società.