Quando si parla di inquinamento atmosferico, si pensa immediatamente alle emissioni dovute al traffico automobilistico, ma non bisogna dimenticare che anche il riscaldamento domestico contribuisce per una parte importante – se non preponderante – a rendere irrespirabile l’aria delle nostre città.
Il livello di emissioni varia a seconda del combustibile – metano, GPL, gasolio, o fonti rinnovabili come legna e pellet – e del tipo di apparecchio utilizzato. Secondo ARPAT, l’agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, il 70% del PM10 primario nella Regione è prodotto proprio dal riscaldamento domestico e più del 99% delle emissioni di polveri da riscaldamento domestico/terziario derivano dalla combustione di legna; di queste circa l’84% è imputato alla combustione in caminetti aperti e stufe tradizionali.
La combustione della stessa quantità di combustibile (in termini energetici) produce, nel caso della legna, emissioni di PM10 e PM2,5 anche tre volte superiori rispetto agli altri combustibili, nel caso di sistemi di combustione a media-bassa efficienza (dati I.R.S.E. 2010).
Nell’ambito del progetto regionale PaTos (Particolato Atmosferico in Toscana), l’agenzia ha rilevato che la combustione domestica, insieme al traffico locale, è la maggiore sorgente di particolato in tutti i siti indagati, con un contributo che varia tra il 20 e il 50%. Quota che aumenta significativamente, com’è ovvio, nei mesi autunnali e invernali, raggiungendo il 60% per il PM10 e il 40% per il PM2,5.
Non sono dati da sottovalutare: secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’esposizione al particolato esterno è responsabile di decine di migliaia di morti premature in Europa, e milioni in tutto il mondo. Per ridurre l’inquinamento dovuto al riscaldamento domestico, oltre a scegliere combustibili e apparecchi meno inquinanti, è fondamentale assicurare anche un corretto funzionamento e una corretta manutenzione degli impianti.