In questo momento, il Superbonus “non sta solo pesando negativamente sui conti pubblici, ma sta anche pesando negativamente sulla crescita dell’economia. Questo è un punto che viene spesso trascurato, ma è assolutamente essenziale. Il bonus può aver avuto un effetto positivo in un momento di recessione dell’economia. Ma, valutato alla distanza, ossia dopo essere stato ritirato, il suo effetto sull’economia è, quasi per definizione, uguale a zero. Può essere leggermente maggiore di zero solo se si pensa che siano rilevanti i cosiddetti effetti di isteresi; in altre parole, ritenendo che, in assenza dello stimolo, la ripresa post-Covid sarebbe stata significativamente più lenta e avrebbe comportato più disoccupati e un sottoutilizzo della capacità produttiva, con conseguenze non temporanee sulla capacità produttiva del capitale umano e degli impianti. Ma, in ogni caso, nel momento in cui lo stimolo viene azzerato si genera un effetto recessivo sull’economia. Per evitare questo esito e mantenere in vita lo stimolo, il debito pubblico dovrebbe continuare ad aumentare senza limite alcuno, il che è ovviamente insostenibile”.
Lo afferma un articolo (di Rossana Arcano, Alessio Capacci, Giampaolo Galli) dell'Osservatorio sui Conti Pubblici dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, pubblicato il 21 marzo scorso, che richiama l'attenzione su due fatti decisivi: lo straordinario extra deficit del 2023 rispetto alla previsione delle Nadef e gli effetti recessivi sull’economia dell’abolizione del Superbonus 110%.
Straordinario extra deficit del 2023
“Un’ormai ampia letteratura, cui ha contribuito anche il nostro Osservatorio, ha evidenziato che il costo del Superbonus 110% è sproporzionato rispetto ai benefici che può apportare all’economia e alla transizione energetica”, si legge nell'articolo. “In gran parte, tali valutazioni sono contenute nella relazione conclusiva della Commissione Bilancio della Camera, che però non tiene conto di due fatti che a nostro avviso sono assolutamente decisivi per una valutazione complessiva. Un primo fatto da considerare è lo straordinario extra deficit (ben 39 miliardi, l’1,8 per cento del Pil) che il Superbonus ha causato nel 2023 rispetto alle previsioni formulate a fine settembre nella Nadef. L’ipotesi più plausibile per spiegare l’extra deficit è che vi sia stata una corsa per usufruire delle ultime deroghe rispetto al decreto di febbraio 2023, con certificazioni dubbie sull’entità dei lavori e sul loro stato di avanzamento. In sostanza, si sarebbe trattato dell’ultima coda di frodi, o comunque di abusi di un meccanismo che elimina il normale contrasto di interesse fra chi compra e chi vende, ed è quindi un vero e proprio invito alla frode”.
Effetti recessivi sull’economia dell’abolizione del Superbonus 110%
“Il secondo fatto è che da gennaio di quest’anno il Superbonus è stato sostanzialmente abolito; il che obbliga a chiedersi quali siano gli effetti del blocco sul settore delle costruzioni e a ripensare quanto è stato scritto fino ad oggi circa gli effetti del Superbonus sul Pil. Gli effetti che erano stati stimati per gli anni dal 2020 al 2022 non sono più attuali, in quanto, per evitare un salasso ai conti pubblici, il Superbonus è stato abolito e la sua abolizione ha un effetto recessivo, come già segnalano alcuni centri studi, sul settore delle costruzioni e quindi sul Pil. In linea di principio, e a meno di nuovi incentivi, l’effetto recessivo ha la stessa dimensione (e segno ovviamente opposto) rispetto all’iniziale effetto espansivo”, spiega l'Osservatorio.
“Rimangono ovviamente gli effetti negativi sul debito pubblico e quelli positivi, per quanto modesti, sull’efficienza energetica di quel 4 per cento del patrimonio immobiliare italiano che è stato oggetto degli investimenti incentivati”, conclude l'articolo.