ADC e UNGDCEC si sono rivolte all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, chiedendo di far luce su un brutto caso di opacità nelle procedure bancarie necessarie per il visto di conformità ai fini dell’ottenimento del cosiddetto “Superbonus 110%”, introdotto col Decreto Rilancio del 2020 e successive modifiche.
In estrema sintesi le due associazioni segnalano che, pur essendo i Commercialisti, indicati dalla normativa tra i soggetti idonei al rilascio del visto di conformità, a molti clienti sarebbe di fatto imposto, di avvalersi delle società di consulenza da loro segnalate, subordinando a tale fatto il perfezionamento dell’operazione finanziaria richiesta.
Sostanzialmente molti istituti, almeno formalmente, offrirebbero la possibilità e non l’obbligo per i clienti di accedere ai servizi di società del gruppo Deloitte. Solo un istituto bancario nell’accordo quadro di cessione del credito predisposto contemplerebbe, invece, un obbligo del cliente cedente di avvalersi della “società di consulenza Studio Tributario e Societario – di una big della revisione”.
Quasi tutte le banche indicate sembrerebbero avere approntato, almeno formalmente, i propri documenti informativi in modo da evitare di incorrere nei divieti posti dagli artt. 2 e 3 della Legge 10 ottobre 1990, n. 287 (intese restrittive e abuso di posizione dominante, in particolare mediante l’imposizione di condizioni contrattuali o subordinando la conclusione dei contratti all'accettazione da parte dei clienti di prestazioni supplementari).
Tuttavia, sotto il profilo della tutela della concorrenza una siffatta intesa tra istituti di credito e delle società di consulenza restringerebbe il mercato, dando vita ad un vero e proprio abuso.
Infatti la Legge 287/1990 – “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato” vieta, dichiarandole nulle, le Intese restrittive della libertà di concorrenza, cioè quelle che abbiano “per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante,
(…)
e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l'oggetto dei contratti stessi”.
L’art. 3 della medesima legge vieta l'abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, in generale (quindi al di fuori della tipizzazione dei comportamenti previsti nella norma), e, comunque, vieta:
“(…)
d) subordinare la conclusione dei contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l'oggetto dei contratti stessi”.
Inoltre, sotto il profilo della tutela del consumatore, l’art. 24 del decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206 - Codice del consumo censura le pratiche commerciale aggressive che sono idonee a “limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.
Nei casi portati all’attenzione delle nostre associazioni vengono proposti dai principali istituti di credito, in associazione con le altrettanto principali società di consulenza, pacchetti, di fatto inscindibili, contenenti alcuni prodotti o servizi in posizione dominante rispetto ad altri (come il visto di conformità) che, invece potrebbero essere acquistati separatamente presso altri soggetti.
Pertanto, è verosimile che possano configurarsi:
- Un’intesa restrittiva verticale tra imprese che di fatto subordinino la conclusione dei contratti all'accettazione delle prestazioni supplementari offerte in associazione con alcune società di consulenza;
- Un abuso di posizione per i medesimi motivi;
- Una pratica commerciale aggressiva, essendo il consumatore di fatto costretto o fortemente indotto ad accettare il prodotto delle società di consulenza, proposto insieme ai prodotti degli istituti di credito.
Vista la gravità dei fatti segnalati, le Associazioni ADC e UNGDCEC hanno chiesto all’Autorità di aprire un’istruttoria per verificare l'eventuale esistenza di infrazioni ai divieti stabiliti e per adottare tutte le misure, anche sanzionatorie, che riterrà necessarie.
“Essere Dottori Commercialisti significa anche vigilare affinché i nostri clienti non debbano subire abusi di potere o colli di bottiglia inutilmente dannosi. Per questo chiediamo all’Autorità Garante del Mercato e della Concorrenza, di esprimersi quanto prima e di fare chiarezza”.