Si è svolta ieri 7 marzo l’audizione dell’ANCE in videoconferenza presso la Commissione Finanze del Senato nell’ambito dell’indagine conoscitiva sugli strumenti di incentivazione fiscale con particolare riferimento ai crediti d’imposta.
La Vicepresidente Economico-fiscale-tributaria, Vanessa Pesenti, ha evidenziato, in apertura, che un efficace sistema di incentivi fiscali rappresenta un elemento indispensabile di una politica industriale per il settore delle costruzioni che permetta di rinnovare le città italiane, di offrire la possibilità alle famiglie di vivere in case adeguate alle proprie esigenze e, più in generale, di dare un contributo determinante alla crescita e all’occupazione del nostro Paese.
Ha quindi rilevato che rispetto alla decisione di avviare a metà dicembre un’indagine conoscitiva i tempi sono profondamente cambiati e l’intervento di oggi non può non essere focalizzato sui bonus edilizi e in particolare sulla drammatica situazione di blocco della cessione dei crediti, che sta creando serissime difficoltà ad imprese e famiglie.
Prima di farlo, occorre trarre alcuni insegnamenti utili dall’esperienza degli ultimi 3 anni sui bonus edilizi; un’esperienza nata durante l’emergenza del COVID e difficilmente ripetibile, in particolare nel livello di incentivazione raggiunto col 110%, di cui vanno però analizzati, oggettivamente, anche i lati positivi.
I bonus edilizi sono un potente strumento per stimolare il PIL e creare occupazione. I bonus fiscali hanno infatti trainato gli investimenti in edilizia nel biennio 2021-2022: un terzo dell’aumento del Pil è stato attribuibile alle costruzioni; il successo dei bonus ha prodotto una parte rilevante delle entrate record per il bilancio dello Stato nel 2022 (+45 miliardi tra gennaio e novembre) con le quali è stato possibile aiutare le famiglie nella «crisi del gas» (70 miliardi per contenere la spesa energetica e 12,5 del «bonus 200€»); gli effetti positivi sono visibili anche in termini di occupazione con +250 mila posti di lavoro nelle costruzioni in due anni di cui 170 mila grazie ai bonus fiscali.
Servono incentivi efficaci per raggiungere gli obiettivi di riqualificazione energetica degli edifici: la direttiva europea sulle case green impone un ritmo di riqualificazione di circa 180.000 edifici all’anno vale a dire un ritmo simile a quello raggiunto negli ultimi due anni con Superbonus e cessione del credito. Con il sistema di incentivi in vigore fino al 2019, il ritmo di riqualificazione era inferiore ai 3.000 edifici all’anno.
La cessione del credito è uno strumento indispensabile per assicurare che tutte le famiglie possano riqualificare la propria abitazione. Contrariamente a quanto affermato da alcuni osservatori, infatti, il Superbonus è il bonus edilizio che ha beneficiato di meno ai “ricchi” ed è stato invece quello al quale hanno potuto accedere maggiormente le famiglie meno abbienti, come evidenziato dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB). Inoltre, sempre secondo l’UPB, si è intervenuto soprattutto sulle prime case e non sulle seconde case, come alcuni osservatori avevano ipotizzato. Lo strumento della cessione del credito ed una percentuale elevata di agevolazione vanno quindi mantenute per le famiglie meno abbienti.
E’ necessario trovare un equilibrio tra politiche di riqualificazione energetica e sostenibilità della finanza pubblica, anche alla luce del recente parere di Eurostat.
La qualificazione degli operatori che intervengono su cantieri che beneficiano di incentivi statali è un elemento imprescindibile.
Il Covid_19 e tutto quello che ne è conseguito ha segnato un momento essenziale nell’utilizzo dei crediti di imposta, che sono diventati veri e propri strumenti di incentivazione utilizzati in più ambiti.
Hanno favorito gli investimenti delle imprese e delle famiglie, hanno avuto il pregio di costituire anche vere e proprie forme di ristoro in conseguenza di calamità, non solo nella pandemia, ma anche in tutti quegli eventi economici eccezionali che si sono susseguiti negli ultimi tempi, pensiamo ad esempio al fenomeno del “caro energia”.
Il maggior vantaggio del credito di imposta rispetto alle deduzioni o alle detrazioni dalle imposte sul reddito è la ampia possibilità di utilizzo.
Infatti il credito di imposta consente, in modo trasversale, di coprire il versamento di diverse imposte e contributi, potendo, mediante la compensazione, ridurre tutte le posizioni debitorie in ambito fiscale e contributivo facenti capo al beneficiario.
Però, per essere uno strumento di incentivazione efficace e per massimizzarne gli effetti positivi, i crediti d’imposta devono possedere alcuni fondamentali requisiti:
– una circolazione diffusa;
– un utilizzo pieno;
– una stabilità nelle regole;
– il superamento delle limitazioni alla loro compensazione, nel senso che la compensazione deve essere possibile anche in presenza di cartelle esattoriali notificate e non deve essere soggetta ad alcun limite di importo massimo annuale.
Queste sono caratteristiche essenziali, lo abbiamo visto con l’esperienza dei bonus edilizi in generale e con il cd. Superbonus al 110% in particolare, il cui utilizzo come credito d’imposta è passato da un’iniziale exploit, in termini di efficacia e numero degli interventi realizzati, ad un vero e proprio blocco dovuto ai vincoli stringenti apposti alla circolazione e al continuo susseguirsi di mutamenti normativi, sino ad arrivare al totale divieto del trasferimento dei crediti d’imposta, prodotto dal recente DL 11/2023, che impone l’utilizzo dei bonus solo sotto forma di detrazione in dichiarazione dei redditi.
Tra l’altro il settore, endemicamente in credito IVA, è abituato da sempre alla gestione dei crediti d’imposta, con tutte le problematiche che ne derivano, dal loro utilizzo, alle interminabili attese per il loro rimborso.
Il prossimo 30 giugno scade il regime transitorio dello “split payment” che, dal 2015, ha acuito il grave problema dei rimborsi IVA che incidono sui flussi di cassa delle nostre imprese. In merito non ci sono gli estremi per un’ulteriore proroga, vista l’applicazione generale della fatturazione elettronica.
In merito all’esperienza dei bonus edilizi, Sia il Superbonus che gli altri bonus per l’edilizia (Bonus ristrutturazioni, Ecobonus e Sismabonus “ordinari”) sono gli strumenti principali per il conseguimento della transizione ecologica e per lo sviluppo sostenibile del territorio.
La Fiscalità ambientale, in particolare, non può prescindere dalla tutela di un interesse pubblico, molto più ampio e generale che investe l’intera collettività: quello connesso ai temi fondamentali della salubrità, vivibilità, messa in sicurezza delle nostre case e dei luoghi di lavoro e dello sviluppo delle nostre città, per stare al passo con i mutamenti sociali e con l’evoluzione delle esigenze abitative.
Proprio perché strettamente legati ad un interesse pubblico collettivo, i bonus edilizi rappresentano uno strumento di politica fiscale indispensabile al raggiungimento degli obiettivi suddetti.
Per questo, devono costituire un elemento centrale della prossima riforma fiscale, senza essere invece costantemente “minacciati” dalla più volte annunciata politica di tax expenditures che li considera esclusivamente in termini di “costo”.
La tutela dell’interesse pubblico deve prevalere, o per lo meno non può ridursi esclusivamente in una mera valutazione ragionieristica. Infatti, per favorire un reale ammodernamento del patrimonio in chiave energetica ed antisismica, occorre che questi incentivi siano stabilizzati, così da premiare a regime chi investe nell’efficientamento e nella messa in sicurezza del proprio immobile.
Queste considerazioni suonano ancora più urgenti, dati gli obiettivi che l’Europa si sta prefissando con la “Direttiva case green”.
All’esame delle istituzioni comunitarie, infatti, la proposta di direttiva in discussione prevede che gli edifici esistenti dovranno diventare a emissioni zero entro il 2050, con step intermedi per gli immobili residenziali da raggiungere entro il 2033. Viceversa, gli edifici nuovi dovranno essere a emissioni zero entro il 2030.
Un tema scottante per l’Italia, dove su 12,2 milioni di edifici residenziali, oltre 9 milioni risultano particolarmente energivori e non sono in grado di garantire le performance energetiche richieste in futuro dalla “Direttiva case green”.
Per questo serve un vero e proprio “Piano Marshall per l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio” di lungo periodo e con regole stabili nel tempo, a differenza di quanto accaduto con il Superbonus che, da incentivo di massima propulsione, si è tramutato in un boomerang per cittadini ed imprese, che avevano fatto affidamento su una legge dello Stato e che sono stati travolti dal continuo cambiamento delle norme e dal blocco del mercato dei crediti d’imposta da questo derivanti.
Oggi, siamo tutti consapevoli che il tema dei bonus edilizi è all’attenzione del Governo, per via della necessità di verificare l’impatto macroeconomico di tali strumenti e la loro corretta contabilizzazione.
A questo punto le questioni imprescindibili sono due:
- risolvere, oggi, il dramma legato ai cd. crediti “incagliati” che colpisce famiglie e imprese. Contribuenti che, per altro, hanno agito sino ad oggi in totale buona fede confidando sulla certezza del diritto, che dovrebbe caratterizzare, in linea di principio, ogni intervento normativo;
- adottare un’ottica lungimirante, che guardi alla transizione ecologica e alle caratteristiche del nostro patrimonio immobiliare e che sappia inserire gli incentivi edilizi in un progetto politico ambizioso, consapevole e di lungo termine.
Nei giorni scorsi, infatti, l’ISTAT ha rivisto le stime sugli effetti dei bonus sui conti delle Amministrazioni pubbliche per il triennio 2019-2021, alla luce delle indicazioni di Eurostat sul trattamento contabile dei crediti d’imposta che hanno determinato una diversa qualificazione degli stessi rispetto al 2019, con il passaggio da “non pagabili” a “pagabili”.
Questo non muta l’impatto complessivo degli incentivi sul deficit, ma ne comporta una differenza in termini di incidenza temporale.
Oramai abbiamo capito tutti che quando la misura è classificata “pagabile”, l’impatto sull’indebitamento si concentra esclusivamente e totalmente nel primo anno (quello di sostenimento della spesa agevolata).
Cosicché la riclassificazione dei bonus, da “non pagabili” a “pagabili”, ha determinato un peggioramento del deficit imputabile agli anni scorsi, dal 2020 al 2022, ma ha migliorato il deficit degli anni futuri.
In definitiva, i dati ISTAT hanno chiarito, una volta per tutte, che i crediti derivanti dai bonus edilizi sono già stati contabilizzati nel bilancio dello Stato e quindi, come sostenuto dall’Ance, c’è spazio per una liquidazione immediata dei crediti incagliati in capo a famiglie e imprese.
Al di là della qualificazione contabile, è indubbio che i bonus edilizi rappresentino uno straordinario volano per la tenuta (in periodo pandemico) e per la ripresa dell’economia domestica, con indiscutibili ed evidentissimi effetti sull’incremento del PIL, dell’occupazione e del gettito fiscale.
Basta considerare che:
- il Pil, dopo il boom del 2021 (+7%), si conferma anche nel 2022 migliore delle attese. Gli ultimi dati Istat indicano, infatti, un ulteriore aumento del +3,7% per il 2022, collocando la crescita italiana addirittura al di sopra a quanto previsto per la Cina (+3%);
- sull’eccezionale crescita italiana, sono stati determinanti i bonus fiscali che hanno trainato gli investimenti in edilizia: l’ANCE stima che in ciascuno degli ultimi due anni circa un terzo dell’aumento del Pil è attribuibile alle costruzioni;
- il successo dei bonus ha prodotto una parte rilevante delle entrate record per il bilancio dello Stato nel 2022 (+45 miliardi tra gennaio e novembre) con le quali è stato possibile aiutare le famiglie nella «crisi del gas» (70 miliardi per contenere la spesa energetica e 12,5 del «bonus 200€»);
- gli effetti positivi sono visibili anche in termini di occupazione. Negli ultimi due anni sono stati creati circa 250mila posti di lavoro nelle costruzioni di cui 170mila grazie ai bonus fiscali.
In questo contesto l’incidenza dei bonus edilizi è stata decisiva, come dimostrano i principali studi che si sono occupati di stimare gli effetti macroeconomici e di retroazione fiscale indotti dal Superbonus 110% e tra questi i più autorevoli elaborati, oltre che da noi come ANCE, anche dal Consiglio Nazionale Ingegneri, CENSIS, Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Nomisma.
Seppur con diversi approcci metodologici, le evidenze delle ricerche non lasciano dubbi circa gli effetti positivi che i bonus edilizi, e in particolare il Superbonus 110%, hanno generato sia per il sostegno all’economia sia per il gettito fiscale di ritorno.
Ben il 47% dell’investimento torna sotto forma di vantaggi sulle entrate erariali, senza tener conto degli effetti indotti.
Come evidenziato dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, l’obiettivo posto dal PNRR di realizzare entro il 2025 la ristrutturazione di almeno 100.000 edifici è stato raggiunto, grazie al Superbonus, con due anni di anticipo.
Ulteriore elemento da non trascurare, e che ha una valenza sociale, è che il successo del Superbonus, così come l’incremento nell’utilizzo degli altri bonus edilizi, è stato decretato dai meccanismi di fruizione alternativi alla detrazione diretta, ossia dalla possibilità di cedere a terzi il bonus sotto forma di credito d’imposta o dalla scelta di ottenere uno sconto dal corrispettivo dei lavori di ammontare pari al bonus teoricamente spettante.
Come ANCE, non condividiamo quindi la posizione di chi sostiene che si tratta di un incentivo ad esclusivo favore dei ceti sociali più abbienti.
Lo stesso Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) ha confermato, nei giorni scorsi, l’efficacia del beneficio anche in termini di “sostenibilità sociale” dato che anche i cd. no tax area, pur non potendo fruire della detrazione, hanno potuto utilizzare lo sconto in fattura, in presenza di lavori agevolati al 110%.
L’UPB ha quindi sfatato il mito del “Superbonus solo per i ricchi”, evidenziando che è invece il bonus edilizio di cui hanno beneficiato maggiormente le famiglie meno abbienti.
Così come è stato sfatato il mito dell’“intervento sulle seconde case”. Oltre l’80% degli edifici che hanno usufruito del Superbonus sono, infatti, prime case, dove le famiglie vivono abitualmente.
L’ANCE è stata tra i primi a denunciare il pericolo di un uso distorto dei benefici e della concorrenza sleale di imprese nate appositamente per sfruttare lo strumento del Superbonus.
Da novembre 2021 ad oggi, la Guardia di Finanza ha sottoposto a sequestro preventivo crediti d’imposta inesistenti per un valore di oltre 3,7 miliardi di euro (soprattutto in tema di bonus facciate, caratterizzato da una percentuale di agevolazione molto elevata senza limiti di spesa, a fronte dell’assenza di sistemi di controllo, così come invece era già previsto per il Superbonus). La verifica preventiva sulle comunicazioni effettuata dall’Agenzia delle Entrate ha, poi, bloccato crediti per 1 miliardo di euro ulteriore.
L’ANCE ha manifestato, sin da subito, l’esigenza di affidare stabilmente il mercato a operatori strutturati, specializzati e affidabili. Ciò, garantendo:
- la qualificazione degli operatori, attraverso la richiesta di qualificazione SOA alle imprese che intervengono su lavori “consistenti”, per evitare il fenomeno dell’aumento “anagrafico” delle imprese edili che si è manifestato in maniera abnorme con l’introduzione del Superbonus. Basti pensare che nel secondo trimestre del 2022 sono state aperte 125.392 nuove Partite IVA.
- l’applicazione del CCNL in edilizia, per garantire la tutela della salute e della sicurezza del lavoro nei cantieri.
Tutto questo ha portato a modificare ripetutamente la disciplina originaria della cessione dei crediti di imposta in materia edilizia, tant’è che, in 15 mesi (da novembre 2021 con la prima normativa antifrode per i bonus minori sino a febbraio 2023 con l’ultimo DL 11-2023), si contano ben 18 provvedimenti (tra decreti legge e leggi di conversione) per circa 22 modifiche normative, quasi 1 ogni 45 giorni, alcune anche con effetti retroattivi.
Con l’ultimo intervento ad opera del DL 11/2023, si è arrivati, quindi, al blocco totale della cessione dei crediti e dello sconto in fattura per il futuro ed al divieto di acquisto dei crediti da parte degli Enti pubblici che si erano dimostrati disponibili ad acquistare i crediti incagliati, con una disciplina transitoria del tutto insufficiente.
Il quadro normativo generale desta quindi forte preoccupazione. Riteniamo che la situazione rischi di essere esplosiva.
Anche in questa sede non possiamo non ribadire che il decreto legge 11 non affronta, invece, in alcun modo il problema dei crediti incagliati legati ai bonus edilizi. Anzi, ne acuisce gli effetti negativi, ponendo ulteriori e più stringenti limitazioni alla circolazione dei crediti stessi, fino al loro conclusivo e definitivo blocco.
Le imprese di costruzione che non sono riuscite a monetizzare il credito, si trovano in grande difficoltà.
Da un lato ci sono quelle che hanno concluso i lavori facendo ricorso alle proprie disponibilità finanziarie e che adesso si trovano esposte con le controparti coinvolte (fornitori, lavoratori, professionisti, banche) a rischio di fallimento.
Dall’altro, ci sono quelle che, invece, non avendo più liquidità, hanno dovuto interrompere i lavori. Queste ultime, laddove non riuscissero a terminare gli interventi entro le scadenze di legge, si troveranno esposte non solo con tutte le controparti, ma anche nei confronti dei propri committenti (famiglia o condominio), con un elevato rischio di contenzioso, dal momento che si troveranno a dover restituire all’Erario ingenti somme di denaro.
Si stima che 1 miliardo di crediti incagliati produce il blocco di circa 6.000 interventi (tra unifamiliari e condomini), con rischio di fallimento di almeno 1.700 imprese di costruzioni e la perdita di circa 9.000 occupati. Pertanto, considerando uno stock di crediti fiscali incagliati in capo alle imprese di 19 miliardi di euro (audizione del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ruffini), gli effetti macroeconomici potrebbero essere estremamente preoccupanti: 32.000 imprese fallite e 170.000 disoccupati in più nel settore delle costruzioni (che raddoppiano se si considera l’indotto).
Una simile situazione provocherebbe problemi su circa 115.000 cantieri, che si tradurrebbero in altrettanti nuclei familiari in crisi.
I bonus, da volano di crescita per il settore delle costruzioni e per l’intera economia, rischiano di innescare una reazione a catena che potrebbe velocemente provocare una vera e propria crisi sociale di proporzioni rilevanti.
Appare quindi indispensabile introdurre soluzioni certe e di immediata attuazione per lo sblocco totale dei crediti pregressi.
Serve una decisione veloce da parte di Governo e Parlamento per approvare misure risolutive, con la stessa determinazione che ha portato a varare un decreto che, per tempi di approvazione ed entrata in vigore, ha battuto anche il leggendario decreto sul prelievo sui conti correnti del ’92.
Questo improvviso cambio di regime andrebbe accompagnato da un periodo transitorio che consenta a cittadini, imprese e a tutti i soggetti coinvolti nelle operazioni in corso di portare a termine tali interventi, tutelando in tal modo il legittimo affidamento fondato sulla previgente normativa (es. interventi di demolizione e ricostruzione, lavori commessi dagli IACP o in corso nelle zone terremotate).
Per riuscirci, la soluzione principale e più efficace è utilizzare gli F24 a compensazione dei crediti maturati, come ANCE e ABI hanno proposto da tempo, una misura resa ora possibile anche dalle recenti indicazioni di Eurostat.
La proposta dell’ANCE prevede di riconoscere, in via straordinaria e temporanea, la possibilità per le banche e Poste SpA di compensare le somme relative agli F24 della clientela con i crediti di imposta originatisi a seguito del sostenimento, nelle annualità 2021 e 2022, delle spese per gli interventi agevolati con i bonus edilizi, che imprese e contribuenti non sono riusciti ancora a cedere. A tutela dei contratti in corso, lo stesso meccanismo di compensazione dovrebbe essere previsto anche per i crediti d’imposta relativi ad interventi già avviati alla data del 17 febbraio 2023.
Si tratta di una misura di carattere straordinario, limitata nel tempo e nella quantità, volta ad evitare la crisi di numerose imprese che hanno praticato lo “sconto in fattura” e dei condomìni/persone fisiche che, per effettuare i lavori, hanno fatto ricorso a ingenti finanziamenti, confidando nella possibilità di poter monetizzare il credito mediante il meccanismo della cessione.
Questa soluzione non ha impatti sul gettito, in quanto comporta solo una differente modalità di utilizzo in compensazione dei crediti di imposta.
In una situazione di mercato così complessa e ingessata, almeno fino all’inserimento della misura degli F24 nella legge di conversione del decreto 11/2023, potrebbe essere utile, altresì, il coinvolgimento immediato delle istituzioni e aziende statali (CDP, RFI, ENEL, ENI, SNAM, Fincantieri, ecc.) sul mercato dei crediti fiscali come soggetti acquirenti.
Queste aziende possono rivestire un ruolo importante nel processo di alleggerimento dei plafond fiscali degli istituti bancari. L’attività di acquisto di questi crediti ha un rischio contenuto perché tutti i bonus fiscali hanno superato gli accurati controlli previsti dalla due diligence delle piattaforme specializzate incaricate dalle banche.
La prossima riforma dei bonus fiscali per la riqualificazione energetica e sismica dovrà favorire politiche e progetti di rigenerazione urbana di lungo periodo e dunque puntare ad un’agevolazione di carattere strutturale.
Inoltre, sarà necessario confermare il meccanismo della cessione del credito e dello sconto in fattura, in quanto come abbiamo visto sono strumenti essenziali per far realizzare gli interventi, quantomeno per i soggetti a più bassa capacità reddituale.
Ancora, sempre nell’ottica della sostenibilità sociale, uscendo dalla logica dell’agevolazione potenziata, dovrebbe essere comunque garantita una sorta di finanziamento pubblico che copra l’intero costo dell’intervento a carico dei soggetti a basso reddito (cd. incapienti), e dovrebbe essere posto un tetto al costo della cessione che incide pesantemente sulla redditività degli operatori che realizzano gli interventi.
Pertanto, sul futuro della politica di riqualificazione degli edifici, dopo la risoluzione del blocco dei crediti pregressi, è necessario aprire al più presto un confronto per definire gli strumenti fiscali e finanziari idonei a privilegiare gli interventi di ristrutturazione integrale, con obiettivi di risultato particolarmente ambiziosi, soprattutto considerati i target ambientali di riduzione delle emissioni di CO2 fissati in Europa e che l’Italia ha condiviso.