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Superbonus per il patrimonio immobiliare pubblico, perché no?

La società di studi economici Nomisma per Rekeep presenta uno studio che evidenzia i risultati economici, sociali e ambientali conseguibili attraverso interventi di riqualificazione energetica e sismica degli edifici non residenziali

giovedì 1 ottobre 2020 - Redazione Build News

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Il patrimonio immobiliare italiano è in larga parte datato e necessita di importanti interventi di riqualificazione energetica e sismica. Ma se oggi molte sono le opportunità offerte ai privati, come per esempio il Superbonus, non è stato mai adeguatamente valutato l’impatto che potrebbe avere a livello economico, ambientale e sociale un piano di interventi sugli immobili pubblici, vecchi, ad alta dispersione energetica e che causano uno spreco di risorse, un danno per il territorio, l’ambiente, la comunità. Lo studio di Nomisma approfondisce, quindi, gli importanti risultati in termini di generazione di valore che potrebbero essere conseguiti dal nostro Paese attraverso interventi di riqualificazione energetica e sismica del patrimonio immobiliare non residenziale, in particolare uffici comunali e scuole territoriali.


Ma quanto servirebbe per questi interventi?
L’investimento stimato dalla ricerca è pari a circa 39 miliardi di euro da investire su un orizzonte pluriennale. Si tratta di impegno di spesa sicuramente ingente ma senz’altro sostenibile sia perché, in un momento come quello attuale, tra debito pubblico, Recovery Fund o Next Generation e Fondi strutturali 2021-2027 saranno disponibili importanti risorse pubbliche, sia perché parte degli investimenti, in particolare quelli legati alla gestione dell’energia, potrebbero essere finanziati direttamente dalle imprese private attraverso la formula del Partenariato Pubblico Privato. Un intervento come quello proposto sarebbe, inoltre, in grado di generare importanti effetti positivi dal punto di vista economico, ambientale e sociale oltre a costituire un formidabile bacino di valore (ad oggi trascurato e inattuato) per rilanciare nel breve termine investimenti pubblici e privati e attuare un’efficace strategia “anti-virus”.?

Da un punto di vista economico, l’analisi evidenzia come una tale immissione di liquidità avrebbe un effetto moltiplicativo sul Prodotto Interno Lordo italiano pari a 3,6 volte la somma investita: i 39 miliardi di euro impiegati per la riqualificazione del patrimonio porterebbero generare effetti diretti e indiretti pari a 91,7 miliardi di euro di produzione, nonché 50,1 miliardi di indotto, per un impatto complessivo quantificabile in 141,8 miliardi di euro. In una situazione complessa quale quella attuale, il progetto sarebbe in grado di creare 380 mila nuovi posti di lavoro nei settori destinatari degli interventi e 490 mila negli altri settori, per un numero complessivo di 870 mila nuovi occupati. Sempre dal punto di vista economico, la riqualificazione del patrimonio pubblico consentirebbe alle Amministrazioni locali di disporre di immobili con una rivalutazione di valore fino a oltre il 30%. Inoltre, la riqualificazione degli edifici rappresenterebbe per gli Enti Locali anche un risparmio in termini di manutenzione ordinaria e straordinaria, una voce di spesa che nel tempo può assumere un peso rilevante nei costi di gestione. Infine, i risparmi energetici generati dagli interventi di riqualificazione sarebbero quantificabili in 450 milioni di euro all’anno.

Dal punto di vista ambientale, gli investimenti in riqualificazione genererebbero una serie di benefici che vanno dal contenimento degli impatti energetici, con una riduzione delle emissioni atmosferiche stimata in 934 mila tonnellate annue di CO2, all’attivazione di una economia circolare volta alla limitazione dell’uso delle risorse e al riciclo dei materiali da costruzione, alla riduzione degli impatti sui cambiamenti climatici, alla tutela del suolo. Il settore edilizio, infatti, è uno dei maggiori responsabili dell’impatto delle attività umane sul clima e sull’ambiente: edifici e abitazioni sono responsabili del 39% di tutte le emissioni globali di CO2 nel mondo e pesano per il 36% dell’intero consumo energetico globale, per il 50% delle estrazioni di materie prime e per un terzo del consumo di acqua potabile. Gli investimenti potrebbero quindi ridurre emissioni e consumi fino al 50%, un risultato tanto più importante alla luce degli obiettivi vincolanti in termini di minori emissioni e maggiore salubrità delle città (alla luce dell’Agenda 2030, dell’Accordo di Parigi, degli accordi per la neutralità climatica al 2050, etc.).

Anche dal punto di vista sociale, l’elevata sismicità di molte aree italiane, in particolare nel Centro-Sud, unitamente alle carenze strutturali degli edifici, renderebbe estremamente urgente il ricorso a un massiccio piano di riqualificazione per evitare costi sociali ed economici elevatissimi. La maggior parte degli edifici della Pubblica Amministrazione, in particolare quelli scolastici, sono, infatti, datati e obsoleti.

Cosa manca?
Per quanto riguarda la sostenibilità economica degli investimenti pluriennali stimati dalla ricerca, è importante sottolineare che gli unici interventi che necessiterebbero di strumenti di incentivazione da creare ex novo risulterebbero quelli legati alla messa in sicurezza sismica degli edifici che riguardano in particolare le regioni del Centro-Sud Italia, in cui il rischio è più elevato, dal momento che, fino a oggi, tali operazioni hanno giovato solo di sporadiche erogazioni di risorse da parte dello Stato. Per quanto riguarda, invece, gli interventi per la riqualificazione energetica degli edifici, gli investimenti potrebbero già contare su un contributo importante da parte dei privati attraverso la formula del Partenariato Pubblico Privato, una soluzione che prevede di affidare a una società esterna gli interventi che vengono ripagati attraverso la gestione successiva dell’immobile. Se a ciò, tuttavia, si affiancassero meccanismi di incentivazione (come ad esempio, il Conto Termico, già disponibile, o un “Superbonus PA” simile a quello approvato dal Decreto Rilancio per l’edilizia residenziale), nella maggioranza dei casi sarebbe necessario solo un ridotto contributo degli Enti Locali.

Per la fattibilità della proposta risulterebbe, inoltre, fondamentale favorire un’aggregazione tra comuni, soprattutto tra quelli di piccole e medie dimensioni, in modo da permettere loro di raggiungere una massa critica in grado di garantirgli idonee competenze per valutare i diversi progetti o di accedere alle competenze disponibili nel più vicino Comune capoluogo di Provincia o nella Città Metropolitana di riferimento. Nella stessa direzione, il sostegno delle capacità progettuali e valutative delle Città metropolitane o dei Comuni capoluogo, opportunamente incentivati, può rappresentare un elemento dirimente per attivare risorse in modo capillare ed efficace su tutto il territorio nazionale.

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