È stata sottoposta all’attenzione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria un'ordinanza di demolizione emessa dal Comune di Stefanaconi in data 22 novembre 2021, n. 286, con cui è stato ordinato a N. S. la demolizione di alcune opere eseguite sull’area individuata in catasto alla particella n. 1572 del foglio di mappa 8.
Nel provvedimento impugnato tali manufatti sono così definiti:
1) “Tettoia metallica su quattro pali in ferro tubolari delle dimensioni di metri 3,35 per metri 4,20 circa e un’altezza dal suolo di circa metri 2,30, scoperta su tutti i lati e sovrastante tetto, fissata in terra con dei bulloni incastonati nel cemento di recente fattura”;
2) “Un manufatto con muratura di recente realizzazione, dalle dimensioni di metri 12,70 circa totali di lunghezza e una larghezza di metri complessivi 5,38 circa e un’altezza alla gronda di metri 2,20 circa, adibito a laboratorio artigianale di falegnameria e deposito materiale sempre di falegnameria”;
3) “Un manufatto in legno adiacente alla struttura di cui al punto 2 delle dimensioni totali di circa metri 5,45 di lunghezza e metri 3,15 di larghezza e un’altezza di metri 1,90. Tale manufatto in legno era solo appoggiato in terra e pertanto risulterebbe tra quelli rimovibili anche se il cemento posto al di sotto della stessa era di recente fattura”;
4) “Una casetta in legno dimensioni totali di metri 2,05 di larghezza e una lunghezza di metri 1,90 circa e un’altezza dal suolo di metri 2,20 circa. Tale casetta era fissata ed ancorata su una base metallica. Anch’essa pertanto rimovibile”.
Nella sentenza n.2016/2022 depositata il 14 novembre, il Tar Calabria (Sezione Seconda) osserva che “Dalle fotografie allegate alla consulenza tecnica di parte prodotta dal ricorrente è evidente che l’opera indicata al punto 1 è il supporto metallico a un telone in materiale plastico, posto a copertura di un’area esterna, che rimane aperta da tutti i lati.
Orbene, la giurisprudenza (cfr. TAR Liguria, Sez. II, 23 giugno 2021, n. 571) ha chiarito che la tenda munita di una struttura di supporto (c.d. “pergotenda”) rientra nell'attività edilizia libera, a condizione che: i) l'opera principale sia costituita, appunto, dalla “tenda” quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata a una migliore fruizione dello spazio esterno; ii) la struttura rappresenti un mero elemento accessorio rispetto alla tenda, necessario al sostegno e all'estensione della stessa; iii) gli elementi di copertura e di chiusura siano facilmente amovibili e in materiale plastico o in tessuto, comunque privi di quelle caratteristiche di consistenza e rilevanza che possano connotarlo in termini di componenti edilizie di copertura o di tamponatura di una costruzione. È infatti in ragione dell'inesistenza di uno spazio chiuso stabilmente configurato che l'insieme non è qualificabile come organismo edilizio connotantesi per la creazione di nuovo volume o superficie.
Nel caso di specie, è innegabile che il manufatto di cui si discorre sia inquadrabile come pergotenda, suscettibile di realizzazione libera ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. e-quinquies d.P.R. n. 380 del 2001, come specificato dal n. 50 del d.m. del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 2 marzo 2018”.
Quanto all’opera indicata al punto n. 2, “le fotografie, lette in uno con l’ordinanza di demolizione, evidenziano che si tratta di un manufatto in legno non ancorato al suolo, costituito da quattro puntoni di legno lamellare, su cui posano quattro travi in legno lamellare collegati da flange, coperte da due spioventi di tegole canadesi, che coprono un’area di m. 5,45 x 3,15.
Si tratta, quindi, di un gazebo, che è opera rientrante nell’attività edilizia libera ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. e-quinquies, come specificato dal n. 44 del citato d.m. 2 marzo 2018”.
L’opera indicata al punto n. 4, infine, “è chiaramente un ripostiglio per attrezzi, manufatto accessorio di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo, così come definito dal n. 48 del citato d.m. 2 marzo 2018, opera liberamente realizzabile ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. e-quinquies d.P.R. n. 380 del 2001”.
“Con riferimento all’opera indicata al punto n. 2, non vi è evidenza che la domanda di condono edilizio fosse completa”, osserva il Tar Calabria. “Anzi, dalla dichiarazione allegata al condono dalla richiedente, è chiaro che l’originaria istanza fosse incompleta, né risulta che la documentazione mancante sia stata prodotta al Comune. Non può, dunque, essersi formato il silenzio-assenso di cui all’art. 35 l. 28 febbraio 1985, n. 47, fermo restando l’obbligo dell’amministrazione di provvedere”.
Il Collegio osserva, ancora, che “in sede di discussione parte ricorrente ha dedotto che il potere repressivo non avrebbe potuto essere esercitato da parte del Comune di Stefanaconi, mancando la definizione della domanda di condono. Tuttavia, si tratta di motivo non ritualmente sviluppato, che dunque non può essere valutato in questa sede”.
Il Tar Calabria ricorda poi che “l'attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell'art. 7 l. n. 241 del 1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso (Cons. Stato, Sez. VI, 11 maggio 2022 , n. 3707).
Inoltre, nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione di un abuso edilizio, la mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo; allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata (Cons. Stato, ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9)”.
In conclusione, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda), ha accolto parzialmente il ricorso e, per l’effetto, annullato l’ordinanza del Comune di Stefanaconi del 22 novembre 2021, n. 286, limitatamente alla parte in cui si riferisca ai manufatti indicati ai punti 1, 3 e 4.
IN ALLEGATO la sentenza.