Una recinzione costituita da rete metallica sorretta da paletti in ferro a “T”, senza opere murarie, avente un ridotto impatto visivo e quindi non comportante una permanente e apprezzabile alterazione dello stato dei luoghi, non richiede il previo rilascio di un titolo edilizio. Diversamente, la realizzazione di muri di cinta, cordoli in calcestruzzo o simili vanno assoggettati al regime della DIA o, in seguito, della SCIA ovvero al regime del permesso di costruire, a seconda della loro entità e dell'impatto, per dimensioni e tipologia, che generano sull'ambiente circostante in termini di trasformazione urbanistica o edilizia.
Lo ha ricordato il Tar Campania, sezione staccata di Salerno (Sezione Prima), nella sentenza n. 735/2017 pubblicata il 13 aprile.
I giudici campani ribadiscono che, come affermato dalla giurisprudenza, "la valutazione in ordine alla necessità del titolo abilitativo edilizio per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione. Di conseguenza, si ritengono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione (quali, ad esempio, recinzioni in rete metalliche, sorretta da paletti in ferro o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo "ius excludendi alios" o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà. Viceversa, è necessario il titolo abilitativo quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo durevole e non precario sull'assetto edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica o da opera muraria" (in termini, T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 15 settembre 2015, n. 1236; in senso conforme, T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 15 settembre 2015, n. 1342; T.A.R. Umbria, sez. I, 7 agosto 2013, n. 434; T.A.R. Salerno, sez. I, 7 marzo 2011, n. 430).
L'orientamento prevalente del Consiglio di Stato, inoltre, è nel senso di ritenere "che più che all'astratto genus o tipologia di intervento edilizio (sussumibile nella categoria delle opere funzionali a chiudere i confini sui fondi finitimi) occorrere far riferimento all'impatto effettivo che le opere a ciò strumentali generano sul territorio: con la conseguenza che si deve qualificare l'intervento edilizio quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) quante volte abbia l'effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie" (Cons. Stato, VI, 4 gennaio 2016, n. 10 e 4 luglio 2014, n. 3408).