La piscina e gli annessi vani tecnici non sono rilevanti ai fini della violazione delle distanze legali poiché si tratta di opere interrate o che comunque non si innalzano oltre il livello del terreno, “con conseguente inconfigurabilità di un corpo edilizio idoneo a creare dannose intercapedini e a pregiudicare la salubrità dell’ambiente collocato tra gli edifici”.
Lo ha affermato il Tar Campania, Sezione Ottava, con la sentenza n. 3520/2015 depositata il 2 luglio.
LE NORME SULLE DISTANZE LEGALI NON SI APPLICANO ALLE PISCINE. Poiché – argomentano i giudici amministrativi napoletani - la normativa dettata in materia di distanze legali è diretta ad evitare la formazione di strette e dannose intercapedini per evidenti ragioni di igiene, areazione e luminosità, la suddetta normativa “è inapplicabile relativamente ad un manufatto completamente interrato quale una piscina (T.A.R. Lombardia, Milano, 20 dicembre 1988 n. 428), in quanto i piani interrati devono ritenersi esonerati dal rispetto delle distanze legali (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III 30 dicembre 2014 n. 3200)”.
In tal senso si è espressa anche la Corte di Cassazione affermando che “Ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali, stabilite dall'art. 873 c.c. e dalle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, deve ritenersi costruzione qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso a un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente; e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa, dai caratteri del suo sviluppo aereo, dall'uniformità e continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione, dalla sua destinazione” (Cassazione civile sez. II 6 maggio 2014 n. 9679).