Sentenze

Tariffe minime per le prestazioni di architetti e ingegneri: nuova sentenza della Corte europea

Pubblicata la sentenza del 18 gennaio 2022, causa C-261/20, riguardante la normativa tedesca

martedì 18 gennaio 2022 - Redazione Build News

ingegnere

Sebbene la Corte di giustizia dell'Unione europea abbia già dichiarato che la normativa tedesca che fissa tariffe minime per le prestazioni di architetti e ingegneri (HOAI) è contraria alla direttiva «servizi», un giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi su una controversia tra privati, non è tenuto, sulla sola base del diritto dell’Unione, a disapplicare tale normativa tedesca. Ciò non pregiudica tuttavia, da un lato, la possibilità, per tale giudice, di disapplicare detta normativa in base al diritto interno nell’ambito di una siffatta controversia e, dall’altro, la possibilità, all’occorrenza, per la parte lesa dalla non conformità di tale normativa al diritto dell’Unione di chiedere il risarcimento da parte dello Stato tedesco.

Lo ha precisato la Corte di giustizia Ue nella sentenza del 18 gennaio 2022, causa C-261/20.

Nel 2016 la Thelen, una società immobiliare, e MN, un ingegnere, hanno stipulato un contratto di studi nell’ambito del quale quest’ultimo si è impegnato ad eseguire talune prestazioni previste dalla Verordnung über die Honorare für Architekten- und Ingenieurleistungen (Honorarordnung für Architekten und Ingenieure – HOAI) (regolamento tedesco del 10 giugno 2013, che disciplina gli onorari per servizi di architetti e ingegneri), dietro pagamento di onorari forfettari il cui importo ammontava a 55 025 euro.

Un anno dopo, MN ha receduto da tale contratto e ha emesso una fattura a saldo riguardante le prestazioni eseguite. Basandosi su una disposizione della HOAI ai sensi della quale, per la prestazione che ha fornito, il prestatore ha diritto ad un compenso almeno pari all’importo minimo fissato dal diritto nazionale, e tenendo conto dell’importo dei versamenti già effettuati, MN ha proposto ricorso giurisdizionale onde chiedere il pagamento dell’importo rimanente dovuto, pari a 102 934,59 euro, ossia un importo superiore a quello concordato dalle parti del contratto.

La Thelen, rimasta parzialmente soccombente in primo e in secondo grado, ha proposto ricorso per cassazione (Revision) dinanzi al Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia), giudice del rinvio nella presente causa. Nell’ambito del suo rinvio pregiudiziale, tale giudice ricorda che la Corte di giustizia ha già dichiarato l’incompatibilità di detta disposizione della HOAI con la disposizione della direttiva 2006/123 che vieta, in sostanza, agli Stati membri di mantenere requisiti che subordinano l’esercizio di un’attività al rispetto, da parte del prestatore, di tariffe minime e/o massime se tali requisiti non rispettano le condizioni cumulative di non discriminazione, necessità e proporzionalità. Detto giudice ha pertanto deciso di chiedere alla Corte se, nell’ambito della valutazione della fondatezza del ricorso proposto da un privato nei confronti di un altro privato, un giudice nazionale debba disapplicare la disposizione nazionale su cui si fonda la domanda allorché tale disposizione è contraria a una direttiva, nel caso di specie la direttiva «servizi». A tal riguardo, detto giudice rileva che un’interpretazione conforme della HOAI alla direttiva «servizi» non è possibile nel caso di specie.

IL GIUDIZIO DELLA CORTE. Con la sua sentenza, pronunciata dalla Grande Sezione, la Corte Ue dichiara che un giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi su una controversia intercorrente esclusivamente tra privati, non è tenuto, sulla sola base del diritto dell’Unione, a disapplicare una normativa nazionale che fissa, in violazione dell’articolo 15, paragrafo 1, paragrafo 2, lettera g), e paragrafo 3, della direttiva «servizi», tariffe minime per le prestazioni di architetti e ingegneri e che stabilisce la nullità dei contratti che derogano a tale normativa.

Certamente, il principio del primato del diritto dell’Unione impone a tutte le istituzioni degli Stati membri di garantire piena efficacia alle varie norme dell’Unione europea. Inoltre, ove non sia possibile procedere a un’interpretazione della normativa nazionale conforme al diritto dell’Unione, il medesimo principio impone che il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito di sua competenza, le disposizioni di detto diritto garantisca la piena efficacia delle medesime, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale.

Tuttavia, un giudice nazionale non è tenuto, sulla sola base del diritto dell’Unione, a disapplicare una disposizione del suo diritto nazionale contraria a una disposizione del diritto dell’Unione, qualora quest’ultima disposizione sia priva di efficacia diretta. Ciò non pregiudica tuttavia la possibilità, per tale giudice, nonché per qualsiasi autorità amministrativa nazionale competente, di disapplicare, sulla base del diritto interno, qualsiasi disposizione del diritto nazionale contraria a una disposizione del diritto dell’Unione priva di tale efficacia.

Nel caso di specie, la Corte ha ricordato che, secondo la propria giurisprudenza, l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva «servizi» può avere efficacia diretta poiché tale disposizione è sufficientemente precisa, chiara e incondizionata. Tuttavia, nel caso di specie tale disposizione viene invocata, in quanto tale, in una controversia tra privati al fine di disapplicare una normativa nazionale in contrasto con essa. In sostanza, nel procedimento principale, l’applicazione dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva «servizi» priverebbe MN del suo diritto di richiedere un importo di onorari corrispondente al minimo previsto dalla normativa nazionale di cui trattasi. Orbene, la giurisprudenza della Corte esclude che a detta disposizione possa essere riconosciuta una tale efficacia, nell’ambito di una controversia tra privati.

La Corte aggiunge che, ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 1, TFUE, quando la Corte riconosce l’inadempimento di uno Stato membro, tale Stato membro è tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta e che i giudici e le autorità amministrative nazionali competenti hanno l’obbligo, quanto ad essi, di adottare tutti i provvedimenti necessari per agevolare la piena efficacia del diritto dell’Unione, disapplicando all’occorrenza una disposizione nazionale contraria al diritto dell’Unione. Tuttavia, le sentenze che accertano siffatte violazioni hanno anzitutto lo scopo di definire i doveri degli Stati membri in caso di inosservanza dei loro obblighi e non di conferire diritti ai privati. Pertanto, detti giudici e autorità amministrative nazionali competenti non sono tenuti, sulla sola base di tali sentenze, a disapplicare, nell’ambito di una controversia tra privati, una normativa nazionale contraria ad una disposizione di una direttiva.

Per contro, la parte lesa dalla non conformità del diritto nazionale al diritto dell’Unione potrebbe far valere la giurisprudenza della Corte per ottenere, se del caso, il risarcimento del danno causato da detta non conformità. Secondo detta giurisprudenza, spetta a ciascuno Stato membro accertarsi che i privati ottengano un risarcimento del danno loro causato dall’inosservanza del diritto dell’Unione.

La Corte sottolinea al riguardo che, avendo già dichiarato che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non è compatibile con il diritto dell’Unione, e che il suo mantenimento costituisce pertanto un inadempimento da parte della Repubblica federale di Germania, tale violazione del diritto dell’Unione deve essere considerata manifestamente qualificata ai sensi della sua giurisprudenza relativa alla sussistenza della responsabilità extracontrattuale di uno Stato membro per violazione del diritto dell’Unione.

La sentenza è disponibile in allegato.

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