Con il provvedimento n. 25487 pubblicato sul Bollettino n. 21 del 15 giugno 2015, l'Antitrust ha deliberato di contestare al Consiglio Nazionale Forense (CNF) la violazione di cui all’articolo 15, comma 2, della Legge n. 287/90 per inottemperanza al provvedimento dell’Autorità n. 25154 del 22 ottobre 2014.
Con il provvedimento n. 25154 del 22 ottobre 2014, l'Antitrust ha accertato che “il Consiglio Nazionale Forense, in violazione dell’articolo 101 del TFUE, ha posto in essere un’infrazione unica e continuata, restrittiva della concorrenza, consistente nell’adozione di due decisioni volte a limitare l’autonomia dei professionisti rispetto alla determinazione del proprio comportamento economico sul mercato, stigmatizzando quale illecito disciplinare la richiesta di compensi inferiori ai minimi tariffari [circolare n. 22-C/2006 ndr] e limitando l’utilizzo di un canale promozionale e informativo attraverso il quale si veicola anche la convenienza economica delle prestazioni professionali [parere n. 48/2012 n.d.r.]”.
RESTRIZIONE DELLA CONCORRENZA TRA I PROFESSIONISTI. Infatti, la circolare ed il parere miravano a limitare direttamente e indirettamente la concorrenza tra i professionisti basata sulle condizioni economiche dell’offerta dei servizi professionali, con evidente svantaggio per i consumatori finali.
In particolare, la circolare n. 22-C/2006, pubblicata unitamente e quale premessa alle disposizioni in materia di tariffe prima e di parametri poi, prevedeva, inter alia, che “il fatto che le tariffe minime non siano più obbligatorie non esclude che – sempre civilisticamente parlando – le parti contraenti possano concludere un accordo con riferimento alle tariffe come previste dal D.M. Tuttavia, nel caso in cui l’avvocato concluda patti che prevedano un compenso inferiore al minimo tariffario, pur essendo il patto legittimo civilisticamente, esso può risultare in contrasto con gli artt. 5 e 43 c. II del codice deontologico”, segnatamente con i criteri del decoro e della dignità professionale ivi contenuti.
Il parere n. 48/2012, invece, sussumeva nella fattispecie deontologica dell’accaparramento della clientela l’attività pubblicitaria svolta dai professionisti attraverso l’uso di piattaforme quali AmicaCard, ritenendo che le stesse consentono al professionista, dietro pagamento di un corrispettivo, di “pubblicizz[are] l’attività del suo studio evidenziando la misura percentuale dello sconto riservato ai titolari della carta” effettuando, in tal modo, “un’offerta generalizzata al pubblico, il cui elemento distintivo è rappresentato dalla vantaggiosità dello sconto prospettato dal professionista offerente, mentre rimangono del tutto aspecifici ed indeterminati la natura e l’oggetto dell’attività al medesimo richiesta”, aggiungendo che “il sito costituisce […] un canale di informazione – concentrato sul prevalente aspetto della mera convenienza economica del servizio offerto […]”, comportando “lo svilimento della prestazione professionale da contratto d’opera intellettuale a questione di puro prezzo”.