Con sentenza del 30 maggio 2022 la Corte d'appello di Lecce ha respinto l'impugnazione proposta da V. C. nei confronti della sentenza del 4 marzo 2020 del Tribunale di Lecce, con la quale lo stesso C. era stato condannato alla pena di sei mesi di arresto e 40.000,00 euro di ammenda in relazione ai reati di cui agli artt. 44 d.P.R. 380/2001 e 256, comma 1, d.lgs. 152/2006, ascrittigli per avere smaltito senza autorizzazione rifiuti non pericolosi, costituiti da materiali provenienti da attività di demolizione di fabbricati e da terre e rocce da scavo, realizzando con gli stessi, in assenza del permesso di costruire, un terrapieno della lunghezza di 14 metri e della larghezza di 37 metri, con altezza media di circa 1 metro (in Fasano, il 3/8/2017).
Con la medesima sentenza era anche stata respinta la richiesta di ammissione alla oblazione avanzata dall'imputato, era stata disposta la demolizione delle opere abusive e la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, oltre che ordinato il dissequestro dell'area e dei materiali ivi esistenti.
Avverso tale sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi.
La sentenza della suprema Corte
Nella sentenza n. 32745/2023, la Corte di Cassazione (Penale Sez. 3) ha giudicato infondato il ricorso e ricordato che l'art. 186 del d.lgs. n. 152 del 2006 consente sì il riutilizzo delle terre e rocce da scavo, quali sottoprodotti, per eseguire reinterri, riempimenti e rimodellazioni, ma alle specifiche condizioni previste dal primo comma di detta disposizione, e cioè che: "a) siano impiegate direttamente nell'ambito di opere o interventi preventivamente individuati e definiti; b) sin dalla fase della produzione vi sia certezza dell'integrale utilizzo; c) l'utilizzo integrale della parte destinata a riutilizzo sia tecnicamente possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e, più in generale, ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli ordinariamente consentiti ed autorizzati per il sito dove sono destinate ad essere utilizzate; d) sia garantito un elevato livello di tutela ambientale; e) sia accertato che non provengono da siti contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto; f) le loro caratteristiche chimiche e chimico-fisiche siano tali che il loro impiego nel sito prescelto non determini rischi per la salute e per la qualità delle matrici ambientali interessate ed avvenga nel rispetto delle norme di tutela delle acque superficiali e sotterranee, della flora, della fauna, degli habitat e delle aree naturali protette. In particolare, deve essere dimostrato che il materiale da utilizzare non è contaminato con riferimento alla destinazione d'uso del medesimo, nonché la compatibilità di detto materiale con il sito di destinazione; g) la certezza del loro integrale utilizzo sia dimostrata".
Nel caso di specie, la Cassazione osserva tra l'altro che “la sussistenza di tali condizioni non è in alcun modo stata prospettata dal ricorrente, con la conseguente corretta esclusione della applicabilità ai materiali utilizzati per realizzare il terrapieno contestato della disciplina delle terre e rocce da scavo e della correttezza della qualificazione di detti materiali come rifiuti”.