Con la sentenza n. 43/2022 pubblicata oggi, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, comma 1, della legge 2 agosto 2004, n. 210 (Delega al Governo per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire); 1, comma 1, lettera d) e 9, comma 1, del decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122 (Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, a norma della legge 2 agosto 2004, n. 210), nella parte in cui non riconoscono il diritto di prelazione anche alle persone fisiche che abbiano acquistato prima che sia stato richiesto il permesso di costruire.
Il d.lgs. n. 122 del 2005, attuativo della legge delega n. 210 del 2004, ha inteso potenziare, rispetto al normale apparato dei rimedi civilistici, la tutela di persone fisiche che, nel destinare i propri risparmi all’acquisto di un’abitazione, si espongono a rischi, particolarmente elevati, connessi a operazioni economiche aventi a oggetto immobili «ancora da edificare o la cui costruzione non risulti essere stata ultimata versando in stadio tale da non consentire il rilascio del certificato di agibilità».
Alcune tutele sono correlate alla stipula del contratto a effetti obbligatori o reali differiti (artt. 2, 3 e 6); altre operano all’atto del trasferimento della proprietà (art. 4) o in vista del contratto a effetti traslativi (artt. 7 e 8); altre ancora scaturiscono ex lege al verificarsi di particolari circostanze successive all’originario atto di acquisto (artt. 9, 10, 12).
Tale apparato di tutele, nel suo complesso, è rivolto all’obiettivo di proteggere il risparmio, in attuazione dell’art. 47 Cost. Alcune norme, tuttavia, quali gli artt. 9 e 10 del d.lgs. n. 122 del 2005, perseguono anche la primaria esigenza di difendere il diritto inviolabile all’abitazione (art. 2 Cost.).
Tanto l’art. 1, comma 1, della legge delega n. 210 del 2004, quanto la norma definitoria di cui all’art. 1, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 122 del 2005 riferiscono la nozione di immobile da costruire – che delimita sul piano oggettivo l’ambito delle tutele – a immobili che si connotano non solo in quanto siano da edificare o perché la loro costruzione non sia stata ancora ultimata, ma anche perché sia stato «richiesto il permesso di costruire». Sono esclusi dalla disciplina gli acquirenti cosiddetti “su carta”.
IL CASO IN ESAME. Il giudice rimettente riferisce che la società cooperativa edilizia F. C. era risultata assegnataria di un’unità minima di intervento (UMI) di un’area di edilizia economica popolare (area Peep), sulla quale aveva costruito ventisei alloggi.
L’ordinanza di rimessione riporta che molti appartamenti erano stati oggetto di contratti denominati “prenotazione di alloggio”, «in forza dei quali la Cooperativa si [era] impegnata a trasferire ai soci prenotatari il diritto di proprietà dietro il pagamento del corrispettivo, in parte già versato al momento della sottoscrizione della prenotazione dell’alloggio ed in parte da corrispondere al momento della sottoscrizione del contratto di vendita».
Il giudice a quo espone che la società cooperativa, in data 14 aprile 2010, presentava richiesta di permesso a costruire e che, di seguito, ottenuto il titolo abilitativo (il 7 febbraio 2011) e poi il certificato di agibilità, nel luglio 2013 assegnava provvisoriamente e consegnava ai soci prenotatari i rispettivi alloggi. Non provvedeva, invece, all’assegnazione definitiva degli immobili e al trasferimento della proprietà.
Il rimettente prosegue nella narrazione dei fatti, riferendo che, con atto trascritto in data 20 ottobre 2017, l’intero complesso edilizio veniva pignorato e che, nel corso del procedimento esecutivo, il professionista delegato constatava l’occupazione di alcuni lotti da parte dei soci prenotatari. I detentori degli immobili depositavano, in particolare, istanze vòlte a ottenere il riconoscimento del diritto di prelazione di cui all’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 122 del 2005 e il professionista delegato chiedeva al giudice dell’esecuzione di pronunciarsi sulla spettanza di tale diritto e sulle modalità del suo esercizio.
Il Tribunale rimettente espone che, con decreto pronunciato ai sensi dell’art. 591-ter del codice di procedura civile, il giudice dell’esecuzione disponeva la vendita degli immobili con indicazione, nell’avviso di vendita, dell’esistenza di un diritto di prelazione a favore dei soli assegnatari degli alloggi, i cui atti di prenotazione risultassero conclusi dopo la richiesta di permesso di costruire.
Tale provvedimento formava oggetto di reclamo da parte di diciotto soci, i cui contratti di prenotazione erano stati stipulati in data antecedente alla presentazione della richiesta di permesso di costruire da parte della società cooperativa. Il giudice dell’esecuzione, disposta la riunione di tutti i reclami, li rigettava, ritenendo che il diritto di prelazione, di cui all’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 122 del 2005, spettasse solo a favore degli acquirenti di immobili da costruire rientranti nella definizione dell’art. 1, comma 1, lettera d) del medesimo decreto legislativo e dell’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 2004.
Il rimettente riporta, inoltre, che, avverso la citata ordinanza di rigetto, proponevano reclamo ex art. 669-terdecies cod. proc. civ. quasi tutti i soci che si erano già opposti al decreto del giudice dell’esecuzione, i quali prospettavano un’interpretazione estensiva dell’art. 9 del d.lgs. n. 122 del 2005, tale da «rendere possibile il riconoscimento del diritto di prelazione a prescindere dall’anteriorità della stipula del contratto rispetto alla richiesta del titolo abilitativo».
Nel decidere su quest’ultimo reclamo, il giudice a quo solleva l’odierna questione di legittimità costituzionale, ritenendo di non poter condividere l’interpretazione estensiva proposta dai reclamanti e di dover, invece, accogliere gli argomenti esposti dal giudice dell’esecuzione.
Sottolinea, in particolare, il ruolo centrale delle definizioni di cui all’art. 1 del decreto legislativo che «hanno la funzione di perimetrare l’ambito di applicazione della tutela prevista dal legislatore alle fattispecie in esse riportate» e che sono un «chiaro indice della volontà di applicare le definizioni a ogni fattispecie normativa e non soltanto a quelle che esplicitamente richiamano al loro interno le parole oggetto di definizione».
Rileva poi che il censurato art. 9, comma 1, considera destinatario della tutela l’acquirente, che l’art. 1, comma 1, lettera a), definisce come la «persona fisica che sia promissaria acquirente o che acquisti un immobile da costruire, ovvero che abbia stipulato ogni altro contratto [avente a oggetto] un immobile da costruire, ovvero colui il quale, ancorché non socio di una cooperativa edilizia, abbia assunto obbligazioni con la cooperativa medesima per ottenere l’assegnazione in proprietà o l’acquisto della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire».
Aggiunge, inoltre, che la necessità di leggere l’art. 9, comma 1, in combinato disposto con l’art. 1, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 122 del 2005 emerge dallo stesso art. 9, «il quale espressamente disciplina il concorso tra l’esercizio del diritto di prelazione del promittente acquirente e l’escussione della fideiussione in relazione agli acconti pagati al costruttore».
Infine, considera decisivo, al fine di escludere che l’art. 9 possa avere «un ambito applicativo eccentrico rispetto al testo della legge in cui è inserito», che la legge n. 210 del 2004 abbia limitato la delega al Governo alla tutela dei soli diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili, per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire e che siano ancora da edificare o la cui costruzione non risulti ultimata.
Esclusa l’interpretazione estensiva della norma censurata, il rimettente ritiene la questione di legittimità costituzionale rilevante, poiché dalla sua decisione dipenderebbe il possibile accoglimento dei reclami proposti, con l’eventuale riconoscimento, in favore dei reclamanti, del diritto di prelazione di cui all’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 122 del 2005.
Tanto premesso, e passando ad argomentare la non manifesta infondatezza, il giudice a quo ravvisa la medesima esigenza di tutela dell’acquirente, che risponda ai requisiti richiesti dal combinato disposto degli artt. 1, comma 1, lettera d), e 9, comma 1, del d.lgs. n. 122 del 2005, rispetto a chi si trovi nelle medesime condizioni ivi descritte, fatta salva la mera circostanza di aver concluso il contratto prima che il costruttore presentasse la richiesta per il titolo edilizio abilitativo.
«Si tratta di rilievo – osserva il rimettente – che porta a revocare in dubbio la rispondenza ai dettami costituzionali, ed in particolare al principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione, degli artt. 1, comma 1, lett. d), e 9 del D.lgs. n. 122/2005, nonché dell’art. 1 della l. n. 210/2004».
In particolare, il giudice a quo sottolinea che la fattispecie delineata dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 122 del 2005 presuppone l’avvenuta consegna dell’immobile e che l’alloggio sia stato adibito ad abitazione principale propria, del coniuge o di un proprio parente di primo grado. Ciò attesterebbe come «la concretezza dell’operazione immobiliare a suo tempo progettata, l’affidamento riposto dall’acquirente nel buon esito del programma negoziale, e quindi nel trasferimento in suo favore della proprietà del bene [e] le esigenze di tutela del medesimo acquirente [siano] presenti in massimo grado», tanto più che risultano pagati molti acconti e che il progetto sarebbe compiuto in un contesto di piena regolarità sotto il profilo urbanistico.
Tali ragioni differenzierebbero in maniera radicale l’assetto di interessi, sotteso all’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 122 del 2005, rispetto a quello implicato nella disciplina dell’art. 2 del medesimo decreto legislativo, oggetto di una sentenza di non fondatezza pronunciata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 32 del 2018). In tale ipotesi, è stata reputata non irragionevole la previsione dell’obbligo in capo al costruttore di procurare il rilascio e di consegnare all’acquirente una fideiussione a beneficio del solo acquirente che abbia stipulato l’atto dopo che la controparte aveva almeno presentato la richiesta di permesso di costruire. Questa Corte ha, infatti, ritenuto che «il solo avvio del procedimento amministrativo [darebbe] concretezza all’iniziativa edificatoria del promittente alienante [il che aggiungerebbe] una qualitas alla cosa futura promessa in vendita, [che] costituisce di per sé un fattore rassicurante ed un indiretto incentivo all’acquisto per il promittente acquirente, persona fisica, radicando in quest’ultimo un affidamento maggiore nella determinazione di assentire l’impegno contrattuale di acquisto dell’immobile da costruire assumendone i relativi oneri economici».
Da ultimo il rimettente, nel rilevare che la tutela accordata dall’art. 9, comma 1, vale a dire il diritto di prelazione in ipotesi di vendita all’incanto, non richiede di essere apprestata al momento della stipula del contratto, né comporta oneri a carico del costruttore, conclude che «non appare pertanto ragionevole ancorarne il riconoscimento alla situazione esistente al momento della stipula del contratto piuttosto che a quello dell’esercizio del diritto, ovvero a quello della consegna del bene, sì da correlare a tale momento la verifica della sua necessaria regolarità sotto il profilo urbanistico».
È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate non fondate.
Secondo l’Avvocatura, le due fattispecie che l’ordinanza di rimessione chiede di equiparare sarebbero tra di loro differenti e, dunque, risulterebbe «assolutamente ragionevole la diversità di disciplina oggetto della censura in esame».
Il dato caratterizzante la fattispecie dell’immobile da costruire sarebbe costituito dalla sua collocazione all’interno di un procedimento amministrativo di rilascio del permesso a costruire.
Solo il promissario acquirente da chi abbia almeno presentato richiesta di permesso di costruire avrebbe maturato uno specifico grado di meritevolezza dell’affidamento a fronte dell’assunzione del vincolo contrattuale, «affidamento che è stato ritenuto degno di maggior tutela» dal legislatore, poiché al momento dell’acquisto c’era una maggiore possibilità di soddisfacimento degli interessi dell’acquirente a conseguire una determinata abitazione.
L’Avvocatura, inoltre, rileva che la prelazione sarebbe uno strumento di tutela «che nasce con il rapporto negoziale che si instaura con il preliminare e che lo accompagna per tutto il suo svolgimento». Viceversa, le circostanze successive – ossia che l’iter amministrativo sia stato avviato e che l’immobile sia stato costruito – sarebbero mere «evenienze fattuali» del tutto irrilevanti.
La sentenza della Consulta è disponibile in allegato.