Nati per stimolare la condivisione di idee, l'aiuto tra colleghi, le relazioni interpersonali e- diciamolo apertamente- per abbattere i costi aziendali, gli uffici open-space si stanno sempre più rivelando come spazi infernali, dove il caos regna sovrano. E sono ormai in tanti a rimpiangere il 'caro vecchio ufficio', quello da condividere al massimo con un collega e sopratutto dotato di porta, chiudibile.
Ma i numeri sono implacabili. In Usa, che la fa da padrona in quanto a trend, il 70% degli uffici- secondo i dati dell'International Facility Management Association- si sviluppano in un unico spazio aperto, privo di divisioni. E anche le aziende più innovative- come Google, Yahoo, eBay, Goldman Sachs e American Express- sono tutt'ora grandi fautrici dell'open space. Basti pensare al più grande ufficio open space al mondo, in grado di ospitare quasi 3.000 ingegneri, commissionato un paio di anni fa dal Ceo di Facebook, Mark Zuckerberg, all'archistar Frank Gehry (foto in basso).
Troppe distrazioni che peggiorano le performance lavorative
E' vero, gli open space consentono un ottimizzazione degli spazi, sono una soluzione- come aveva più volte sottolineato Michael Bloomberg prima di diventare sindaco di New York- per ' promuovere equità e trasparenza'. Insomma, permettono a capi e dirigenti di tenere sott'occhio i dipendenti, controllandone le attività, lavorative e non. Ma sono proprio le prestazioni lavorative ad essere nettamente peggiorate negli anni. Secondo un recente studio della Cornell University, il rumore è uno degli aspetti più 'denunciati' da parte dei lavoratori e, sempre secondo i dati, il livello sonoro degli open space riduce la produttività del 66%.
Uno studio, pubblicato nel 2013 sul Journal of Environmental Psychology, conferma la situazione: molti degli intervistati ritiene di sentirsi frustrato dalle distrazioni continue e di aver peggiorato le proprie performance lavorative, la metà del campione riferisce che la mancanza di privacy è un grande problema e il 30% lamenta la mancanza di privacy.
I lavoratori più creativi e produttivi sono danneggiati da un ambiente stressante
Senza contare altri due aspetti fondamentali. Il primo, la più facile diffusione, in un ambiente aperto, di virus e batteri, che si traduce in una maggiore probabilità, per i lavoratori, di ammalarsi, e di assentarsi quindi dal lavoro. In secondo luogo, il mancato rispetto della personalità del dipendente. Ovvero, non tutti sono fatti per lavorare in uno spazio condiviso. Le cosiddette 'highly sensitive person' (HSP), termine coniato dalla psicologa Elaine Aron per descrivere tutte quelle persone (il 20% della popolazione) che sono fortemente influenzate da ciò che le circonda e il cui rendimento dipende molto dagli agenti esterni, sono fortemente danneggiate dalla 'costrizione' di lavorare in uno spazio aperto e confusionario. Come sottolinea Lynn Stuart Parramore in un intervento pubblicato su AlterNet.org, portale di giornalismo indipendente, gli open space decretano la 'morte'- sia professionale che personale- delle HSP. Con un danno evidente anche per le aziende. Perché, come evidenzia Parramore, le 'persone sensibili' sono quelle che, se messe nelle giuste condizioni, riescono ad essere più creative e produttive di un dipendente medio, ma a patto che non vengano disturbate o sottoposte a stress emotivi.
La soluzione? Spazi 'semi-open'
Sebbene il quadro che emerge è senza dubbio negativo, è molto improbabile che il modello 'open space' venga del tutto abbandonato. Come correre ai ripari allora? Da un punto di vista progettuale, gli uffici dovrebbero prevedere sempre più aree private, salette dove il dipendente, se sta svolgendo un lavoro particolarmente delicato o impegnativo, possa ritirarsi. Poi, si potrebbe passare da uffici 'open space' tout court a 'semi-open space', aumentando il numero di pannelli divisori e flessibili, che consentano un po' più di privacy e sopratutto che scoraggino un eccessivo chiacchiericcio. Un esempio in questo senso viene dall''Hybrid Office', progettato dall'architetto Edward Ogosta, secondo classificato alla scorsa edizione del concorso 'Workplace of the Future 2.0' (foto in basso).
Incoraggiare il lavoro da casa
Da un punto di vista di policy aziendale si dovrebbe, invece, andare sempre più verso un modello lavorativo da remoto. Una soluzione che non solo consentirebbe di dimezzare i costi aziendale in modo netto, ma che, stando ai dati di diverse indagini, aumenta di gran lunga la produttività del dipendente.