Laddove in base agli atti allegati dal richiedente emergano rilevanti dubbi in ordine all’effettivo momento di realizzazione dell’abuso edilizio, del tutto legittimamente l’amministrazione può respingere l’istanza di condono, senza che sulla stessa gravi l’onere di fornire a propria volta un’autonoma prospettazione in ordine al momento in cui verosimilmente gli interventi sono stati realizzati.
Lo ha affermato la sesta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 3666/2015 depositata il 27 luglio.
RICADE SUL PRIVATO L'ONERE DELLA PROVA CIRCA L'ULTIMAZIONE DELLE OPERE EDILIZIE. Il Collegio condivide il consolidato orientamento secondo cui, nella materia edilizia, ricade sul privato l'onere della prova in ordine alla ultimazione delle opere edilizie. Ciò in quanto soltanto l'interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione di un manufatto.
In difetto di tali prove resta pertanto integro il potere dell'amministrazione di negare la sanatoria dell'abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria.
Per quanto riguarda, poi, la gamma degli strumenti probatori ammissibili ai fini della prova del momento di realizzazione dell’abuso, un consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che le dichiarazioni sostitutive di notorietà non siano utilizzabili nel processo amministrativo e che non rivestano alcun effettivo valore probatorio, potendo costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l'attività istruttoria dell’amministrazione.