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Urbanistica, il Governo impugna la nuova legge della Sardegna

Secondo il Consiglio dei ministri alcune norme della L.r. n. 11/2017 della Sardegna prevedono interventi che si pongono in contrasto con le norme fondamentali in materia di paesaggio contenute nella legislazione statale

mercoledì 30 agosto 2017 - Redazione Build News

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Il Consiglio dei Ministri, riunitosi ieri 29 agosto, su proposta del Presidente Paolo Gentiloni ha deliberato di impugnare dinanzi alla Corte costituzionale la legge della Regione Sardegna n. 11 del 03/07/2017, recante “Disposizioni urgenti in materia urbanistica ed edilizia. Modifiche alla legge regionale n. 23 del 1985, alla legge regionale n. 45 del 1989, alla legge regionale n. 8 del 2015, alla legge regionale n. 28 del 1998, alla legge regionale n. 9 del 2006, alla legge regionale n. 22 del 1984 e alla legge regionale n. 12 del 1994”, in quanto alcune norme prevedono interventi che si pongono in contrasto con le norme fondamentali in materia di paesaggio contenute nella legislazione statale, eccedendo in tal modo dalle competenze statutarie attribuite alla Regione Sardegna dallo Statuto speciale di autonomia, e violando l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

Secondo il Governo la legge della Regione Sardegna n. 11 del 2017 presenta profili di illegittimità costituzionale in riferimento agli articoli 13, 29, 37, 38 e 39.

ARTICOLO 13, COMMA 1 E ARTICOLO 29, COMMA 1, LETTERA A). L’articolo 13, aggiungendo le lettere “i bis” e “i ter” al comma 2 dell’art. 10 bis della legge regionale n. 45 del 1989, inserisce ulteriori tipologie di interventi tra quelle già ammesse nelle zone sottoposte a “vincolo di integrale conservazione dei singoli caratteri naturalistici, storico-morfologici e dei rispettivi insiemi” soggette, per i beni paesaggistici, all’obbligo di condivisione preventiva in sede di copianificazione.

Tali disposizioni anticipano unilateralmente, a livello di legge regionale, scelte di merito di compatibilità paesaggistica di talune tipologie di interventi che spettano ai piani paesaggistici regionali, sottoposti, per i beni vincolati, all’obbligo di condivisione preventiva con il Ministero. Identiche considerazioni valgono quanto all’articolo 29, riguardante l’individuazione degli immobili incompatibili con i valori paesaggistici da rilocalizzare in altre aree non di pregio.

Tali attività costituiscono alcuni dei contenuti minimi del piano paesaggistico (art. 143, comma 1, lettera c, del codice) e devono essere svolte congiuntamente dallo Stato e dalla Regione (art. 135 del codice). La normativa regionale, intervenendo unilateralmente anziché con la dovuta pianificazione condivisa con gli organi statali, viola l’art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione e le norme interposte sulla pianificazione congiunta (articoli 135 e 143 del codice).

Infatti, la copianificazione obbligatoria per le aree vincolate gravate da vincoli paesaggistici (art. 143 citato) è norma di grande riforma economico-sociale, che si impone, quindi, anche nei confronti delle regioni ad autonomia speciale.

Al riguardo, la Corte costituzionale, dopo aver ricordato, con la sentenza n. 308 del 2013, che “l’art. 135 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nel testo in vigore dal 2008, stabilisce, all’ultimo periodo del comma 1, l’obbligo della elaborazione congiunta dei piani paesaggistici tra Ministero e Regioni «limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo art. 143», ha sancito, con la sentenza n. 210 del 2014, il principio per cui è necessario che “effetti giuridici modificativi del regime dei relativi beni non si producano prima, e al di fuori, del Piano paesaggistico regionale”.

L’obbligo della pianificazione congiunta deve, però, essere declinato non solo sul piano formale ma anche su quello sostanziale, cosicché esso non si può considerare rispettato allorché, con il susseguirsi di leggi regionali, si predeterminano, in via normativa, unilateralmente e con disposizioni di dettaglio, quelli che, invece, devono costituire i contenuti del piano paesaggistico regionale, svuotando, così, di contenuto la regola della pianificazione congiunta.

ARTICOLI 37, 38, 39. Gli articoli 37, 38 e 39 presentano, tra di essi, identiche criticità, tali da giustificare anche per tali previsioni la proposta di impugnativa. Il procedimento delineato dagli articoli 37 e 38 per la permuta, alienazione e trasferimento dei terreni ovvero per il trasferimento dei diritti di uso civico vincola e limita il potere dell’amministrazione statale di valutazione degli aspetti paesaggistici delle aree coperte da usi civici, per le quali i Consigli comunali richiedono la sclassificazione, al solo profilo del riconoscimento “dell’assenza di valori paesaggistici determinati dall’uso civico”.

Nella formulazione degli artt. 37-38, infatti, le “valutazioni degli aspetti paesaggistici”, cui è preordinata, in alternativa alla copianificazione paesaggistica, la “fase anticipata” costituita dai predetti accordi di copianificazione, risultano limitate al solo riconoscimento dell’assenza di valori paesaggistici determinati dall’uso civico, con implicita esclusione di una diversa valutazione complessiva tecnico-discrezionale della sussistenza attuale di valori paesaggistici anche non strettamente identificabili con il perdurare dei caratteri e degli usi civici (ad esempio, terreni agrari, ovvero boschivi o pascolativi). Le previsioni censurate, pertanto, impongono la sclassificazione e la cessazione del vincolo paesaggistico per il solo fatto che gli usi civici non siano più attualmente praticati o praticabili a causa del mutamento dello stato dei luoghi, precludendo soluzioni valutative diverse, volte anche, ad esempio, ad ipotizzare, come prevede l’articolo 143 del codice, processi di riqualificazione e recupero di contesti paesaggistici parzialmente compromessi o degradati, oltre al ripristino dello stato dei luoghi ove possibile.

Allo stesso modo deve essere interpretata anche la disposizione di cui all’art. 39, comma 1, lettera a) - che prevede che possono essere oggetto di sdemanializzazione i terreni soggetti a uso civico appartenenti ai demani civici a condizione che abbiano irreversibilmente perso la conformazione fisica o la destinazione funzionale di terreni agrari, ovvero boschivi o pascolativi per oggettiva trasformazione – disposizione che sembra pregiudicare la valutazione della possibile sussistenza attuale di altri valori paesaggistici e che sembra escludere di conseguenza la stessa possibilità di proporre soluzioni di riduzione in pristino stato dei luoghi degradati o compromessi o di prospettare soluzioni di rigenerazione e di recupero paesaggistico, fermo restando il connesso regime vincolistico.

Le riferite disposizioni (art. 37 e 38) appaiono, peraltro, criticabili anche per il richiamo non appropriato all’art. 156, comma 1, del codice di settore, al fine di introdurre una nuova figura di potere sostitutivo ministeriale, una volta decorso inutilmente il termine di 90 giorni previsto dalla nuova norma per la stipula dell’accordo di copianificazione, termine decorrente dalla delibera del Consiglio comunale.

Per le motivazioni sopra riportate, le disposizioni contenute agli articoli 13, 29, 37, 38 e 39 si pongono in contrasto con lo Statuto di autonomia per violazione dell’art.117 comma secondo, lettera s), della Costituzione, e delle sopra indicate norme statali interposte.

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