Il Consiglio dei ministri n. 89, riunitosi ieri 12 gennaio, ha approvato la proposta di Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), che sarà inviata alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica al fine di acquisirne le valutazioni.
Il Piano dovrà dare attuazione, nel nostro Paese, al programma Next Generation EU, varato dall’Unione europea per integrare il Quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-2027 alla luce delle conseguenze economiche e sociali della pandemia da COVID-19.
IL COMUNICATO DI PALAZZO CHIGI. “L’azione di rilancio del Paese delineata dal Piano è guidata da obiettivi di policy e interventi connessi ai tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale.
Il Piano consente di affrontare, in modo radicale, le profonde trasformazioni imposte dalla duplice transizione, ecologica e digitale, una sfida che richiede una forte collaborazione fra pubblico e privato.
Inoltre, attraverso un approccio integrato e orizzontale, si mira al rafforzamento del ruolo della donna e al contrasto alle discriminazioni di genere, all’accrescimento delle competenze, della capacità e delle prospettive occupazionali dei giovani, al riequilibrio territoriale e allo sviluppo del Mezzogiorno. Tali priorità non sono affidate a singoli interventi circoscritti in specifiche componenti, ma perseguite in modo trasversale.
Il Piano si articola in sei missioni, che rappresentano “aree tematiche” strutturali di intervento:
1. digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura;
2. rivoluzione verde e transizione ecologica;
3. infrastrutture per una mobilità sostenibile;
4. istruzione e ricerca;
5. inclusione e coesione;
6. salute.
Nell’insieme, le missioni raggruppano sedici componenti, funzionali a realizzare gli obiettivi economico-sociali definiti nella strategia del Governo, che a loro volta si articolano in 47 linee di intervento per progetti omogenei e coerenti.
Le risorse complessivamente allocate nelle sei missioni del PNRR sono pari a circa 210 miliardi di euro. Di questi, 144,2 miliardi finanziano “nuovi progetti” mentre i restanti 65,7 miliardi sono destinati a “progetti in essere” che riceveranno, grazie alla loro collocazione all’interno del PNRR, una significativa accelerazione dei profili temporali di realizzazione e quindi di spesa.
Con il Piano, il Governo intende massimizzare le risorse destinate agli investimenti pubblici, la cui quota supera il 70%. Gli incentivi a investimenti privati sono pari a circa il 21%. Impiegando le risorse nazionali del Fondo di sviluppo e coesione 2021-2027 non ancora programmate, è stato possibile incrementare gli investimenti di circa 20 miliardi per nuovi progetti in settori importanti, che comprendono la rete ferroviaria veloce, la portualità integrata, il trasporto locale sostenibile, la banda larga e il 5G, il ciclo integrale dei rifiuti, l’infrastrutturazione sociale e sanitaria del Mezzogiorno.
I singoli progetti di investimento sono stati selezionati secondo criteri volti a concentrare gli interventi su quelli trasformativi, a maggiore impatto sull’economia e sul lavoro. A tali criteri è stata orientata anche l’individuazione e la definizione sia dei “progetti in essere” che dei “nuovi progetti”. Per ogni missione sono indicate, inoltre, le riforme necessarie a realizzarla nel modo più efficace.
Il primo 70 per cento delle sovvenzioni verrà impegnato entro la fine del 2022 e speso entro la fine del 2023. Il piano prevede inoltre che il restante 30 per cento delle sovvenzioni sarà speso tra il 2023 e il 2025. I prestiti totali aumenteranno nel corso del tempo, in linea con l’obiettivo di mantenere un livello elevato di investimenti e altre spese, in confronto all’andamento tendenziale. Nei primi tre anni, la maggior parte degli investimenti e dei “nuovi progetti” (e quindi dello stimolo macroeconomico rispetto allo scenario di base) sarà sostenuta da sovvenzioni. Nel periodo 2024-2026, viceversa, la quota maggiore dei finanziamenti per progetti aggiuntivi arriverà dai prestiti.
Nella tabella di seguito si evidenzia l’entità delle risorse che si prevede di impiegare nelle sei missioni, con la distinzione tra i progetti già in essere e quelli nuovi.
Il PNRR impatterà positivamente sulle principali variabili macroeconomiche e sugli indicatori di inclusione, equità e sviluppo sostenibile attraverso i maggiori investimenti che attiverà direttamente e indirettamente e le innovazioni tecnologiche che introdurrà e stimolerà. Questi effetti saranno amplificati dalle riforme di contesto e da quelle più settoriali inserite nelle singole componenti del Piano. Una valutazione dell’impatto complessivo di investimenti, trasferimenti, incentivi e riforme, nonché dell’effetto moltiplicativo che potrebbe realizzarsi grazie all’effetto-leva di numerose linee progettuali del Piano, potrà essere effettuata quando tutti i dettagli dei progetti e delle relativamente riforme saranno pienamente definiti”.
DE SANTOLI, PRESIDENTE DEL COORDINAMENTO FREE: MANCA LA VISIONE DEL FUTURO. «Manca la visione del futuro. – così commenta la nuova versione del PNRR, il Presidente del Coordinamento FREE, Livio de Santoli – Se nella prima bozza del PNRR mancava una “visione” complessiva in grado di orientare la destinazione dei fondi per il rilancio dell’economia, per uno sviluppo industriale e per un concreto cambio di rotta nel settore ambientale, sociale, territoriale, questa mancanza ora si accentua».
«Oggi sembra aver prevalso un approccio “ragionieristico”, dove oltretutto l’azione politica “meno incentivi, più infrastrutture” è stata tradotta in investimenti non organici e probabilmente neppure perfettamente inerenti con l’obiettivo definito in sede europea. – prosegue Livio de Santoli – Nell’ultima bozza l’economia circolare, vero motore del processo di decarbonizzazione, è relegata in uno spazio marginale e riguarda solo la realizzazione di impianti per la valorizzazione dei rifiuti».
Si tratta di una prospettiva riduttiva perché, come ha segnalato il position paper sul PNIEC del Coordinamento FREE, mancano gli obiettivi che caratterizzano l’economia circolare: «modifica dell’intera filiera di un prodotto, coinvolgendo a monte i fornitori di materie prime e di componenti, utilizzando in tutte le fasi produttive l’ecodesign, trasformazione decisiva per minimizzare la creazione di rifiuti». S’ignora che, secondo la Commissione europea, la politica agricola comunitaria deve sfruttare il potenziale dell’economia circolare e favorire la multifunzionalità dei sistemi agricoli, quindi anche l’integrazione fra attività agricola e produzione di energia.
«A parte la visione, manca l’innovazione e gli esempi sono molti nel testo. – prosegue Livio de Santoli – Si ignora il tema dell’innovazione nello sviluppo delle fonti rinnovabili sul nodo cruciale della loro localizzazione, che non può essere risolto solo proponendo, nella sezione “Energia rinnovabile, idrogeno e mobilità sostenibile”, di realizzarli «in misura importante tramite lo sviluppo di parchi eolici e fotovoltaici offshore». Le rinnovabili sono date per scontate, come se non avessero problemi, come se non ci fossero obiettivi importanti da raggiungere nei prossimi dieci anni assolutamente impensabili in mancanza di semplificazione autorizzativa e di sviluppo industriale».
Oltre a ciò, secondo FREE, sono state ignorate le trasformazioni dell’automotive che si verificheranno in questo decennio, nella parte dedicata alla “Inclusione e coesione” si elencano proposte generiche relative alle politiche per il lavoro, alla fragilità sociale ed economica e alla coesione territoriale.
«Nemmeno una parola sulla politica industriale per assicurare la giusta transizione ai lavoratori e alle imprese dell’automotive e della raffinazione; politica che, data la problematicità e le dimensioni della riconversione, andrebbe avviata subito, per evitare effetti regressivi. – continua Livio de Santoli – Stupisce l’assenza di interventi sull’auto elettrica; sono ignorate le infrastrutture di ricarica se non a favore delle stazioni di servizio. Le ferrovie sono un pezzo della transizione è vero, ma è giusto dire che non c’è negli investimenti un’attenzione alle città, come ad esempio l’evidente squilibrio verso l’alta velocità a scapito di metro e tram, ma anche con inutili investimenti sulle autostrade, che si dovrebbero ripagare con le concessioni. Nulla sull’idrogeno per l’industria energivora, nulla sullo sviluppo delle hydrogen valleys. Manca l’interlocuzione con gli enti locali e con le associazioni».
Non un cenno sugli strumenti per l’efficienza energetica, nonostante la considerevole quota a questa dedicata, che però è stata ridotta notevolmente del 27%, se si pensa che nella prima bozza erano stati impegnati 40 miliardi di euro che ora sono diventati 29,3. Non un cenno agli ambiti della geotermia e del mini idroelettrico, nonostante il loro possibile sostegno alla filiera industriale nei settori tecnologici legati alle rinnovabili e alla tutela del territorio. E sparisce completamente il biometano nonostante sia una filiera che coinvolge il settore agricolo, quello industriale e quello energetico e che in assenza di politiche adeguate potrebbe diventare l’ennesima occasione mancata per l’Italia.
«Da tutto ciò scaturisce una scarsa adesione ai principi del Next Generation EU che – conclude Livio de Santoli – potrebbero comportare più di una perplessità in Europa perché, ricordiamolo, le azioni dovrebbero essere improntate al rafforzamento del potenziale di crescita del Paese, con la creazione di posti di lavoro e con la resilienza sociale ed economica, nonché con l’effettivo contributo alla transizione verde e digitale. Cioè con un’attenzione particolare alle giovani generazioni».